Il nostro territorio è il regno dell’albicocca.

Nella zona vesuviana, infatti, esistono circa 100 varietà (cultivar) antiche, autoctone, frutto di una selezione mendeliana. Tra le “Albicocche Vesuviane” troviamo la Pellecchiella, Boccuccia Spinosa, Boccuccia Liscia, Fracasso, Portici, Vitillo, Palummella, Ceccona, Taviello, San Francesco, Setacciara, ecc, testimonianza di un’ intensa selezione fatta nei secoli, dai nostri contadini.

L’albicocco, Armenica Vulgaris, è una specie di origini antichissime, proveniente dalla Cina. Fu introdotta in Italia, nel Mediterraneo e nella zona vesuviana, dai Romani. Della presenza della pianta di albicocco alle pendici del Vesuvio se ne trova documentazione già negli scritti di Plinio il Vecchio (I sec. d.C.).

Nel ‘500 nella Suae villae Pomarium, opera dello scienziato napoletano Gian Battista della Porta, si parla di una coltivazione intensiva nell’area vesuviana e si dividono le albicocche in due grandi gruppi, le Bericocche di forma tonda, dalla polpa bianca, molle e aderente al nocciolo e le Chrisomele (dal greco chrisomelos, mela d’oro, e divenuto poi nel dialetto napoletano crisommole) più pregiate, colorate e con la polpa non aderente al nocciolo.

L’ albicocca “Pellecchiella” è chiamata così perché ha una pelle – la buccia – facilmente separabile dalla polpa. La particolarità di questa variante sta nell’intensità del profumo, nel sapore molto dolce e nelle dimensioni grandi. È un frutto di eccellenza tanto da essere un Presidio Slow Food.

Ed è la nostra preferita quando parliamo di confetture.

Anche le albicocche che trasformiamo in confetture e succhi di frutta provengono dal nostro orto. Le coltiviamo seguendo i cicli naturali, riducendo al massimo il nostro impatto e attendiamo la maturazione naturale del frutto. In questo modo riusciamo a conservare quasi intatto il gusto di questo frutto straordinario.

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